La responsabilità penale del datore di lavoro ai tempi del Covid-19

Questo contributo, che ho l’onore di redigere, nasce dalla sentita necessità di fornire al mondo aziendale e del commercio un chiarimento in ordine al rischio, sempre più reale, che cittadini ed aziende possano essere chiamati a rispondere del caso di infezione da Covid-19 nei confronti di dipendenti o di terzi.

Senza pretese di completezza, che mal si conciliano con aspettative di pronta e facile lettura proprie di un editoriale, il gradito compito assegnatomi si prefigge l’obiettivo di fornire all’imprenditore/datore di lavoro una risposta in merito ai profili di responsabilità penale in cui potrebbero incorrere, fornendo indicazione anche sui presupposti ed i limiti di tale responsabilità.

Come noto, l’art. 2087 del Codice civile, impone al datore di lavoro di farsi garante dell’incolumità del lavoratore, prevedendo in capo al medesimo un generale dovere di sicurezza. Il datore di lavoro, dunque, è chiamato a predisporre le misure idonee a prevenire tutti i rischi connessi all’attività lavorativa divenendo destinatario dell’obbligo giuridico di impedire che chi entra in contatto con l’ambiente lavorativo contragga il Covid-19 (c.d. posizione di garanzia).

Per ridurre significativamente il rischio di una responsabilità penale, il datore di lavoro dovrà predisporre misure concrete atte a contenere la diffusione del Covid all’interno del proprio esercizio commerciale/realtà aziendale, allineandosi alle raccomandazioni impartite dall’autorità a livello nazionale e regionale.

Per tali ragioni si rende doveroso passare in rassegna, seppur brevemente, le norme cautelari di natura emergenziale, la cui osservanza da parte dell’imprenditore/datore di lavoro lo porrebbe al riparo da eventuali contestazioni penali nel caso di infortunio del dipendente o di terzi, nella specie, di contagio da Covid-19.

Ecco che la regolamentazione delle misure-anticontagio degli ambienti lavorativi trova le proprie linee guida nel Protocollo condiviso tra le parti sociali ed il Governo del 24 aprile 2020, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020 – art. 1 co.6 -, nonché nei criteri guida generali di cui ai documenti tecnici prodotti da INAIL e Istituto Superiore di Sanità.  Tali misure forniranno le indicazioni comportamentali da adottare come, a titolo esemplificativo: la sanificazione e pulizia nei luoghi di lavoro, l’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio (attraverso l’approntamento di precauzioni igieniche e sanitarie che dovranno esser messe a disposizione dei dipendenti e dei terzi che faranno ingresso negli ambienti: si pensi ai dispositivi di protezione individuale quali mascherine e guanti o ai prodotti igenizzanti che dovranno esser messi a disposizione dei dipendenti nonché dei terzi che accedono ai locali), il rispetto della distanza interpersonale, la limitazione degli spostamenti all’interno dei luoghi e degli accessi agli spazi comuni (disciplinando le modalità di ingresso e di uscita da parte del personale dipendente nonché di terzi clienti/utenti/fornitori); l’elaborazione di procedure di gestione delle persone sintomatiche (nel rispetto della normativa sulla privacy e sul trattamento dei dati personali, avendo cura di garantire il corretto isolamento delle stesse e la riduzione del rischio di contagio di altri dipendenti o di terzi).

In concomitanza alle riaperture previste da lunedì 18 maggio, le misure di prevenzione e contenimento vengono “cucite” sulle peculiarità di ogni singola realtà produttiva.

Durante la redazione di questo stesso focus, è stato infatti approvato il nuovo decreto che disciplinerà il “vivo” della Fase 2 con effetto a decorrere dal 18 maggio fino al 31 luglio 2020 e con il quale è stato dato il via libera alle Regioni di stabilire le linee guida per la riapertura delle attività economiche.

Il contenuto del provvedimento è stato al centro di una lunga conference call avvenuta tra Governo e Regioni in data 15 maggio, all’esito della quale è stata concordata una linea comune sulle misure di sicurezza da adottare per i diversi settori produttivi ed economici a partire proprio da lunedì 18 maggio e sul quale nella serata è arrivato l’ok del Governo.

Per ogni singolo settore di attività vengono così forniti indirizzi operativi specifici “finalizzati a fornire uno strumento sintetico e immediato di applicazione delle misure di prevenzione e contenimento di carattere generale per sostenere un modello di ripresa delle attività economiche e produttive compatibile con la tutela della salute di utenti e lavoratori […] in continuità con le indicazioni di livello nazionale, in particolare con il protocollo condiviso tra le parti sociali approvato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020, nonché con i criteri guida generali di cui ai documenti tecnici prodotti da INAIL e Istituto Superiore di Sanità con il principale obiettivo di ridurre il rischio di contagio per i singoli e per la collettività in tutti i settori produttivi ed economici”.

Per facilità di reperimento e consultazione si riportano i due testi sopra richiamati, ovvero: Protocollo condiviso condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del  24 aprile 2020; Linee di indirizzo per la riapertura delle Attività Economiche, Produttive e Ricreative.

Ecco che dal punto di vista di una eventuale responsabilità penale in capo al datore di lavoro per contrazione del Covid da parte di dipendenti o di terzi, il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli e delle linee guida sopra richiamate, potrà senz’altro esporre il datore di lavoro alla contestazione del reato di lesioni personali colpose previsto dall’art. 590 del Codice Penale fino alla  più grave ipotesi di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 del Codice penale, qualora al contagio ne sia seguita la morte. Per converso, laddove egli osservi le predette prescrizioni, risulterà assai difficile poter ipotizzare a suo carico una responsabilità di natura penale, difettando l’elemento soggettivo della colpa consistente, appunto, nella violazione della norma cautelare.

Il contagio da Covid-19 viene infatti trattato nel nostro ordinamento alla stregua di una “malattia” costituente l’elemento materiale dei reati sopra richiamati. A conferma di ciò si pone lo stesso art. 42 co. 2 del Decreto legge n. 18, del 17 marzo 2020 (c.d. Decreto Cura Italia), secondo cui il contagio da Coronavirus deve essere trattato dal datore di lavoro (sia pubblico che privato) e dall’Inail come un infortunio. Il quadro è altresì completato dalla circolare Inail n. 13 del 3/4/2020 la quale appunto prevede che: “secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro”.

I reati di lesioni personali colpose o di omicidio colposo potranno essere contestati al datore di lavoro in presenza di tre condizioni: che il contagio sia avvenuto all’interno dell’ambiente di lavoro; che vi sia stata una violazione della normativa emergenziale suindicata e che sussista un nesso di causalità tra l’evento dannoso (ovvero i singoli episodi di contaminazione) e la violazione della normativa predetta.
Tale ultimo aspetto sarà certamente il più difficoltoso: in tema di reati omissivi l’accertamento del nesso di causalità richiede appunto che, ipotizzandosi l’effettuazione dell’azione doverosa omessa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, si possa concludere, con elevato grado di credibilità razionale, che l’evento non avrebbe avuto luogo (c.d. giudizio controfattuale).

Concludendo, l’osservanza delle prescrizioni dettate dalla normativa emergenziale rende realisticamente tranquillo il datore di lavoro di non incorrere in responsabilità penale. 

Vale, infine, una considerazione di buonsenso, sganciata da ogni logica in cui muove il diritto e demandata ai cittadini, chiamati, tutti, a un senso di responsabilità morale prima ancora che giuridica, perché solo tutelando gli altri sarà possibile proteggere anche noi stessi.

 

Rubina Colombini
        Avvocato

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