Presupposti per la non punibilità dell’aiuto al suicidio alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale

Non è punibile ai sensi dell’art. 580 c.p., a determinate condizioni, “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

E’ quanto si apprende dal comunicato diramato dalla Corte costituzionale sul proprio sito ufficiale, all’esito della Camera di consiglio nella quale è stata esaminata la questione di costituzionalità dell’art. 580 c.p., sollevata dalla Corte di assise di Milano.

In attesa di conoscere le motivazioni della decisione, che saranno pubblicate nei prossimi giorni, ripercorriamo brevemente le tappe della vicenda relativa al suicidio assistito di DJ Fabo – al secolo Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico e non vedente in seguito a incidente stradale -, che vede attualmente sotto processo dinanzi al collegio milanese Marco Cappato, radicale dell’Associazione Coscioni, imputato del reato di cui all’art. 580 c.p.

L’accusa è di aver «rafforzato» il proposito suicidario di Dj Fabo, sia prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso un’associazione in Svizzera, sia attivandosi per mettere in contatto i suoi familiari con l’associazione stessa e fornendo loro materiale informativo.

Ricordiamo che l’art. 580 c.p. – rubricato “Istigazione o aiuto al suicidio” – punisce con la reclusione da cinque a dodici anni “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, … se il suicidio avviene”.

Con ordinanza pronunciata in data 14 febbraio 2018, la Corte di assise di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.

La Corte costituzionale, con l’ordinanza 207 del 16 novembre 2018, ha sottolineato come, in assoluto, l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non possa essere ritenuta incompatibile con la Costituzione.

Vanno tuttavia considerate situazioni, come quella in esame, “inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali”.

Si tratta di ipotesi nelle quali il soggetto agevolato sia una “persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

In situazioni come queste l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come “l’unica via d’uscita” per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, c. 2., Cost.. La Corte ha evidenziato che, se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall’ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l’interruzione di tale trattamento, non si vede perché il medesimo soggetto debba essere ritenuto viceversa bisognoso di una ferrea e indiscriminata protezione contro la propria volontà quando si discuta della decisione di concludere la propria esistenza con l’aiuto di altri, quale alternativa reputata maggiormente dignitosa alla predetta interruzione.

Entro questi limiti, “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce […] per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13, e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive”.

Da qui la decisione della Corte non di eliminare tout court la disposizione censurata, ma di rinviare la questione al Parlamento, invitandolo a legiferare sul punto affinché “la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere, [è] doveroso – in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale – consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che […] una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”.

Nel comunicato del 25 settembre 2019, la Corte precisa che la non punibilità dell’aiuto al suicidio non è incondizionata ma è subordinata al rispetto di una serie di requisiti e cautele necessarie per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili.

Le condizioni dettate dalla Consulta riguardano il rispetto della normativa vigente in tema di:

  • consenso informato (art. 1 della legge n. 219/2017);
  • cure palliative e sedazione profonda continua (art. 2 della legge n. 219/2017);
  • verifica delle condizioni richieste e delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.

Rispetto alle condotte già realizzate, conclude il comunicato, “il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.

Avv. Fabrizio Giuliano

 

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